Batticuori

Quando nell’email ti trovi un messaggio del Sant’Orsola che ha come intestazione “MANTENIMENTO TESSUTO OVARICO” il cuore perde un colpo.

Per fortuna è solo la segnalazione di cambio di intestazione della raccomandata, ma ecco, insomma, diciamo che quello rimane un tasto delicatissimo.

Sono passati tre mesi dall’ultima revisione chirurgica. Qui pare abbia retto tutto. Ci sono segni, cose che tirano, forme nuove, ma tutte al loro posto. Ho anche ricominciato a nuotare, ed è buffo perché si muove tutto in un modo mai provato prima. Mi faccio la doccia solo quando sono sicura che non ci sia nessun altro.

Prendo le mie medicine, mangio bene. Cerco di non pensare a nulla di ansiogeno.

Poi, rovistando in internet, trovi le storie di donne che si sono ammalate di nuovo. Che hanno il cancro alle ovaie. Che hanno il fegato, le ossa malati. E ti ripeti che non sei tu, che non sarai tu, che pensare alla possibilità del male è una condanna cui ti dovresti essere sottratta con la mastectomia.

Razionalizzi, lavori, pensi ad altro, ti godi la vita, e le vite nuove, e le vite che stanno arrivando, e poi, la notte, succede.

Il cuore perde un colpo.

Donne, in ospedale.

Donne che ti raccontano la vita da un letto d’ospedale.
Donne che hanno imparato termini tecnici e procedure che manco il dottor House.
Donne che minimizzano.
Donne che rifanno il letto ogni cinque minuti.
Donne che devono parlare tanto, e più parlano più ti spaventano.
Donne che ti portano opuscoli dal titolo fosco, come MATERNITA’ E CANCRO, solo perché hai fatto l’errore di accennare all’argomento.
Donne che tacciono, perché il silenzio impedisce loro di gridare e volersi strappare le bende e pezzi di corpo.
Donne che hanno uomini che non si vedono, o figli che non sanno.
Donne che ogni mattina si truccano e si pettinano e si mettono un pigiama carino.
Donne che si sentono in dovere di condividere l’esperienza.
Donne che guardano distrattamente le ferite e viene loro da piangere, o da vomitare, o tutti e due.
Donne che ti dicono Beata te che hai il gene mutato! e tu non capisci, non capisci davvero.
Donne che fanno la predica, o la lagna, ché la loro malattia è peggio, ché la loro vita è più difficile, e non si sa in che modo questo dovrebbe essere d’aiuto a una qualunque delle presenti.

Donne con cicatrici enormi, con corpi spezzati, con la paura negli occhi.
Come me, insieme a me.

Telefonate

Telefonate di ospedali che hanno tutti i tuoi dati sbagliati anche se vai lì da due anni quasi, e ti viene da ridere e dire che non sei tu, andrà qualcun altro a fare la preospedalizzazione, invece sei tu e non c’è possibilità di errore, anche se non sei nata il 19 agosto 1981 e hai un secondo nome che loro dimenticano sempre.

Lo sai che ti chiamano, che cazzo ti piangi, cretina, non fai che piangere, sei una lagna insopportabile. 
Una parte di me mi tratta molto male. È la parte che ha sconfitto il cancro a mani nude. Dice lei.
Un’altra parte di me parla con la voce di mia madre, e mi dice
L’hai voluto tu, no?
Ed è difficile spiegare e spiegarsi che una cosa che parla come una scelta, si veste come una scelta, si pettina come una scelta e profuma di scelta, a volte tanto scelta non è.
Poi c’è Bambina Spaventata. Vi eravate scordati di Bambina Spaventata? Ovviamente non ha smesso di urlare, è solo più fioca. La sua litania è morireinanestesiamorireinanestesiamorireinanestesia. Bambina Spaventata non è nota per la lucidità con la quale guarda alle cose.

Poi ci sono io, che sono tutte queste cose. Che disprezzo la mia paura ma la sento passarmi nelle vene. Che mi picchierei, e poi piangerei di nuovo. Che mi nasconderei nel letto, aspettando l’abbraccio di mio marito.

E alla fine, proprio perché sono io, invece mi vestirò troppo leggera, metterò in faccia il sorriso delle grandi occasioni, e andrò a fare prelievi, lastre, spirometrie, ecg, anamnesi, senza pensare a quel che verrà dopo.

Pezzi.

Dice la psicologa che una separazione è una separazione anche da un pezzo di te.
Dice che va bene arrabbiarsi, o avere paura.
Arrabbiarsi con chi tratta la cosa come un semplice intervento di chirurgia estetica, perché non è chirurgia estetica, perché se ti tagliano un braccio per montartene uno artificiale non c’è nulla di estetico, e nessuno ti direbbe mai uh ma è una cosa da nulla.
Avere paura perché ogni volta che si avvicina una data medicalmente importante, diciamo, ti senti come se fossi ancora malata, ancora fallata, rotta, guasta, perché è scritto nel dna e allora è colpa tua che sei venuta fuori male, stupida, stupida cretina.

E odiare te stessa perché non riesci a non dare importanza al corpo che tanto hai disprezzato in tutta la vita, proprio ora che gli volevi un po’ bene, con tutte le cicatrici e i segni dove dovevi essere solo liscia e morbida.
Il mio corpo è nato sbagliato. Si è rotto strada facendo, ma era solo questione di tempo. Si sarebbe rotto, prima o poi.
Il mio corpo è asimmetrico, e segnato, e dentro c’è sangue sbagliato, un cuore vigliacco e una doppia elica traditrice.

Il mio corpo è tanti pezzi tutti messi insieme, pezzi sbagliati, rotti, nati male.
Pezzi miei.

In posta.

Uff, che palle, guarda quanta gente.
E che palle anche quel tizio che tratta male quella signora.
Che gli cambieranno, due minuti?
Boh.
E quest’altro, che vuole passare avanti a forza?
Mah, io la gente la capisco sempre meno. Che numero abbiamo?
Il 34.
Beh, solo 4 persone, dai.
Sì, ma va lento.
Lo so.

Cos’hai?
Niente, cos’ho?
Mah…
Ti sembra che abbia qualcosa?
Hai un’aria…
Ho mal di testa.
Ecco.
Oddio, quanto mal di testa.

Ho anche mal di schiena.

Oddio, sono io o qua dentro manca l’aria?
Stai iperventilando.
Oddio, manca l’aria!
Non piangere!
Oddio, mi sento esplodere il cuore! Un infarto!
Ti ho detto di non piangere! Stai calma!
Oddio, sto morendo, vero? Alla fine sto morendo!
Non stai morendo! Ti ricordi l’ultima volta, all’ospedale?
È un attacco di panico?
O quello, o stai morendo.
Oddio, sto morendo. Non respiro. Aiuto, non respiro, non voglio morire da sola in posta mentre parlo con me stessa e la gente non se ne accorge, mi scoppierà il cuore, cadrò in avanti e mi si spaccherà il naso e il sangue sarà ovunque, e io morirò così giovane, oddio mi tremano le mani, che succede?
Ti ho detto di non piangere!
Vado a casa, allora, vado a casa!
Ma ora tocca a te! Forza, dagli il bollettino, ma non si deve vedere che tremi, cretina!
Mi tremano le mani.
Non si è accorto di nulla.
Oddio, morirò.
No.
Sì, adesso vado in macchina e muoio.
Non piangere!!!!!
Corro, eh, corro.
Disse quella con l’infarto.
Sono in macchina. Sono in macchina. Piango, sto morendo, muoio, voglio la mia mamma, aiuto.

[Dite “ciao” al mio secondo attacco di panico. La ciliegina sulla torta.]

Momenti di profondo imbarazzo.

Ecografia epatica. Mentre espando tutto il mio settimo senso per non pisciarmi addosso causa vescica piena per l’ecografia, noto sullo schermo del macchinario un MACCHIONE in mezzo al mio fegato.
Da che mondo è mondo, i MACCHIONI sono sempre oggetti perigliosi.
Inizio allora mentalmente a preparare un discorso d’addio, a scegliere il colore del raso, il tipo di marmo eccetera.
La dottoressa mi guarda e mi fa:
GUARDI! LA SUA VENA PORTA È PERFETTA!

Sappiate quindi che i MACCHIONI a volte sono solo dei venoni ignoranti.

Ps Come si intuisce dal tono del post, le ecografie sono andate bene. Il mio utero è sempre vuoto e spento come un forno rotto, il mio fegato se ne sta pasciuto e cuneiforme, e la mia vescica ha rischiato di esplodere.

Giusto un briciolo d’ansia…

Ho spiegato alle persone, o almeno ci ho provato, che la conseguenza peggiore di una malattia come il cancro è quella della percezione di non totale guarigione.
Mi spiego.

Sono clinicamente guarita. Dimentichiamo per un attimo lo scherzetto del DNA “fallato” e concentriamoci sui dati al momento disponibili.
In un anno (ormai è un anno!)  sono stata trattata e operata e nel mio corpo non c’è un briciolo di cancro. Fisicamente, dico.
La mia oncologa, che è una donna affascinante e di carattere, ha tenuto a ribadirmi che SONO GUARITA.

Adesso, la mia malattia è nella testa.
La mattina mi sveglio sempre di botto e con la tachicardia, e non riesco mai a riprendere sonno.
La sensazione che ho è che stia per succedere qualcosa di brutto.
Lo Xanax un po’ funziona, ma nella mia testa c’è tutto un miscuglio di brutti pensieri e grossi sensi di colpa, come se ammalarmi fosse un torto che ho scientemente fatto a chi mi ama.

Un brutto dispetto.

Non sono ancora riuscita a capire da dove mi venga questo senso di responsabilità per una cosa che esula effettivamente dalla mia responsabilità, ma è lì, che mi rosicchia i bordi e mi ronza in testa.

I sometimes wish I’d stayed inside. My mother. Never to come out.