Quando il gioco si fa duro…

…i duri iniziano ad assumere escitalopram.

Non credevo che mi sarebbe mai successo, ma a quanto pare piangere in continuazione, dormire troppo o non dormire, smettere di mangiare, non avere voglia di lavarsi o uscire fanno parte di un quadro più ampio.

Vedi a volte, le sorprese.

Fanno presto a dire che se la prendi positivamente poi le cure funzionano meglio. Sono depressa, depressa perdio, non mi fido neanche più dei miei medici che mi avevano definita guarita e non è vero. Non sono guarita, non sarò mai più guarita, e adesso ho anche un disturbo depressivo.

Ah, ma prendiamola bene, mi raccomando!

Chemio, trucco, donne.

Riapro le pagine del blog dopo tanto tempo, perché ultimamente intorno a me ho sentito tanto parlare di cancro e di approccio alla malattia.
Il primo spunto è dato da Kemioamiche, un programma di TV2000, in cui delle donne raccontano in una cornice surrealizzata (con tanto di playback di canzoni pop) il loro rapporto in sala chemio.
Il secondo è dato dall’iniziativa dell’Istituto IFO Regina Elena, che mette a disposizione ogni mercoledì una truccatrice per le pazienti oncologiche.
Lungi da me generalizzare o colpevolizzare chi attraverso il trucco si senta meglio (perché apparire bene è in fondo una necessità), la cosa che mi ha più colpito è, nell’intervista di Repubblica TV, sentire una donna che dice che così si sente ancora donna, ancora femmina (femminile, aggiunge poi) e, nel programma di TV2000, vedere donne malate tutte con foulard di seta colorato e sopracciglia disegnate.

Siamo di fronte alla sparizione del malato. Il malato non deve apparire malato. Il malato, se malato, è meno essere umano (meno donna, in questo caso).
Non ce l’ho con le donne che si sentono così, ce l’ho con le pressioni esterne che le fanno sentire così.
Al mio corpo mancano pezzi. Non allatterò mai, forse non riuscirò nemmeno ad avere un figlio mio. Le mie ovaie sono ferme, anche se non ho nemmeno 37 anni. Questo mi rende meno donna? Meno femmina?
Mi rifiuto di vedermi così.
La malattia non intacca solo la nostra femminilità, né è giusto che ci sentiamo minate in quell’aspetto, come se fosse la nostra unica funzione, come se smettessimo di essere utili nel momento in cui non siamo più donne, perché in fondo una donna è donna solo finché può essere desiderata o può riprodursi.
La società non vuole vedere un malato, vuole che si continui ad essere coraggiosi, forti, vincenti, come una gara. E chi muore ha perso, non parliamo di chi muore, forse è morto perché poco coraggioso?
La vita non ha classifica di merito.
Sono sopravvissuta 3 anni e mezzo alla malattia non solo perché mi sono curata, ma anche perché sono fortunata. Non perché ho lottato più forte e meglio di chi non ce l’ha fatta.
C’è un’iconografia del malato che va smontata. Soprattutto del malato donna.
Ci vogliono sempre perfette, incrollabili, tenute bene.
Ma la malattia fa schifo, è sporca, è rabbiosa, ti spaventa e certe volte non dormi perché pensi che morirai e certe volte non dormi perché il dolore fisico è troppo, ma devi rassicurare chi ti sta intorno, non si devono preoccupare per te, tu devi essere forte e coraggiosa.
E certe volte non dormi perché sei salva e pensi a chi è morto e ti chiedi ma me lo merito di essere salva?
E altre volte non dormi perché sei salva e pensi ma non durerà.

Il nostro Paese, la nostra società, hanno bisogno di integrare il malato.
Qualche tempo fa, una carissima amica che stava attraversando un lutto, mi ha detto “Nessuno deve morire da solo”. Ha ragione. Nessuno deve morire o soffrire da solo, nessuno deve essere solo perché sofferente o morente. Non siamo parte della società solo finché funzioniamo, e una società civile deve anzi valorizzare chi al suo interno ne ha più bisogno.

I deboli, il malato, il vecchio, il bambino, devono essere accolti senza condizioni. Liberi di essere deboli, vecchi, malati o bambini.
Una donna può truccarsi anche se è malata? Certo, che domande. Ma non deve truccarsi. Non deve nascondere la sua condizione. La società deve accoglierla e riconoscerla anche struccata. Anche brutta, mutilata, calva. Anche sterile, perché sterile non vuol dire disutile.

Basta a questa eterna giovinezza, al disprezzo del decadimento, a questo immaginario da Hitler-Jugend.
Basta.

Dai, c’eri quasi [POST COMMEMORATIVO]

Esattamente due anni fa, circa a quest’ora, mi sottoponevo alla mia prima ecografia. Solo due giorni prima avevo sentito il “bozzo” sotto la pelle nel mio seno sinistro.

Il radiologo che mi fece l’ecografia si lamentò del mio seno troppo grande (tanto da scriverlo nel referto), e fu in grado solo di consigliare una mammografia.
La massa che ha visto con la macchina era di 7 millimetri.
La verità è che il mio cancro era già di 6 centimetri, e si sentiva serenamente anche senza ecografia, e che tutto il pacchetto linfonodale era da buttare, altro che RARI LINFONODI.

Caro dottore, non so dove sia ora.
La ricordo con astio, come un uomo rigido e lamentoso davanti a una donna spaventata, ma soprattutto come uno che non c’aveva capito un cazzo.
Io, dopo due anni, sono ancora qui, e non grazie alla sua stupida faccia di merda.

Dai, c'eri quasi.

                      Dai, c’eri quasi.

Un’estate fa

L’anno scorso, in questo giorno, festeggiavo il mio 33esimo compleanno.

Ridevo, scherzavo, anche grazie agli amici che erano lì con me, ma il mio pensiero fisso era alla chemio che avrei iniziato dopo tre giorni e beh, sì, anche alla morte.

Ho pensato, per parte dell’ultimo anno, che sarei morta. Non era un pensiero costante, ma ogni tanto si affacciava a farmi freddo sulla schiena.

Ho pensato che sarei morta sotto chemio, di insufficienza epatica, che il cancro avrebbe camminato e mi avrebbe mangiato le ossa, e poi che sarei morta sotto anestesia, o per arresto cardiaco in sala operatoria, o che so io.

E’ stato un anno faticoso.

E’ stato un anno interminabile, l’anno più lungo della mia vita.

Adesso, sono pronta a iniziarne un altro, tutto nuovo. Da trentaquattrenne.

Con il pensiero a mia zia Mirella, che se n’è andata l’anno scorso proprio mentre scoprivo di essere malata anch’io, ed è stata forte fino alla fine, dolce fino alla fine, una signora fino alla fine.

Oggi sarebbe stato anche il suo compleanno.

Se mi passi il gioco di parole
il tempo e i ricordi si perdono
una volta sola

Questo è l’unico tuo difetto
che non ci sei più

“Era stizzosa”, scriveranno sulla mia lapide

Certe volte penso che la chiave della mia resistenza, della mia tenacia, della mia caparbietà, sia da ricercare esclusivamente NELLA STIZZA.

Ogni volta che mi hanno detto che non ce l’avrei fatta, che sarebbe stato difficile, che era meglio lasciar stare, io mi sono stizzita.
E ce l’ho fatta, è stato meno difficile del previsto, non ho lasciato stare.

Mi avevano detto che il mio cancro era molto aggressivo, e lo sono stata più di lui.
Mi avevano detto che smettere di fumare in condizione di stress è impossibile, ed è quasi un anno che non tocco una sigaretta.
Mi avevano detto che rimettersi in forma, dopo la chemio e con tutti gli ormoni che mi prendo, era difficilissimo, e io sono lì, vasca dopo vasca, a estrarre il mio corpo dall’involucro della malattia.

C’è sempre qualcuno che cerca di dirci cosa fare, come farlo e soprattutto come vivere la nostra malattia.
Pur di fargli dispetto, sarei capace di diventare immortale.

Era meglio il mal sottile

Nell’800 si definiva “mal sottile” la tubercolosi, perché sembrava consumare da dentro le persone. L’immagine tipica dell’eroina (o dell’eroe) tragica ottocentesca o dei primi del novecento è appunto una figura pallida e consunta (da qui anche consunzione), tutta sospiri, languori e sbocchi di sangue.
Anche Joyce, ne I Morti, rievoca la figura dell’innamorato giovane e infelice che va sotto la pioggia dall’amata e poi CREPA.
Per non parlare di John Keats, peraltro sepolto a Roma, che è epitome del poeta romantico: pensa bene di stirare le zampe lontano dalla sua Fanny ad appena 25 anni.

FUN FACT: La tomba di Keats, nel cimitero acattolico di Roma, non porta il suo nome. C’è scritto:

Questa tomba contiene i resti mortali di un GIOVANE POETA INGLESE che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace un uomo il cui nome fu scritto nell’acqua”

Non diciamolo a nessuno, John.

Non diciamolo a nessuno, John.

Quanta sobrietà, quanto riserbo! Solo che il GENIO che s’è fatto seppellire lì accanto, Joseph Severn, l’ha sputtanato: sulla lapide ha fatto praticamente scrivere EHI SONO SEPOLTO ACCANTO A KEATS! Non ci credete?

Farsi grossi pure da morti.

Farsi grossi pure da morti.

FINE DEL FUN FACT.

Tutto questo per dire che, per un paio di secoli, la TBC è andata molto di moda. Si moriva lentamente, dando tempo a chi ci stava accanto di dichiararci amore eterno, si dimagriva pian pianino che non fa mai male, cose così, condite di manine gelide e sospiri ardenti di febbre.

Il cancro è la TBC dei nostri tempi.
Fateci caso. In praticamente ogni film drammatico c’è un malato di cancro. Così su due piedi mi vengono in mente vagonate di titoli in cui il malato è protagonista (50/50, FANBOYS, La Custode di mia sorella, Per una sola estate, I passi dell’amore…), e solo di recente hanno mostrato anche malati maschi, perché prima erano solo le donne a morire,  a consumarsi, dopo aver impartito una lezione di vita al buzzurro capitato lì accanto negli ultimi, radiosissimi due mesi di vita della fanciulla (Come prego? Avete detto anche voi EROINA OTTOCENTESCA?).
Altrimenti, il malato funge da utile comprimario per giustificare dolori, sensibilità, drammi altrimenti inesistenti (di solito è una mamma che muore e il figlio piange e la fidanzatina lo ama perché lo vede così sensibile).
Ha sempre un foulard colorato in testa ed è sempre TANTO FORTE. O è a letto, che aspetta di morire. Col foulard.
Siamo diventati un luogo comune, un tòpos letterario (come diceva Checov: Se nella prima scena del dramma c’è un fucile appeso alla parete, questo dovrà sparare nell’ultimo atto). Il malato di cancro è come il fucile di Checov: se appare, deve morire.

Una sgradevole eccezione si è vista nel libro/film The Help, una cosa che forse puntava a essere un nuovo Colore Viola e invece s’è fermato molto prima. In sostanza, la mamma della protagonista ribelle è malata di cancro. Le mancano ciocche di capelli, è a letto, c’è tutto il repertorio.
Verso la fine del libro/film, SENZA ALCUN MOTIVO, dichiara
HO DECISO DI NON MORIRE.
E non muore. Così. Senza un briciolo di spessore. Vive perché la sua morte non avrebbe avuto alcun tipo di impatto.

Dobbiamo rassegnarci: siamo entrati nell’immaginario collettivo come nuovi eroi romantici, morbidamente abbandonati su grandi cuscini a consumarci lentamente.
Il trucco è RIFIUTARCI. Rifiutare questa nobilitazione da martiri, questa idealizzazione che annulla ogni nostro difetto, e ci fa sante perché malate.
VAFFANCULO. Io sono malata e sono sempre la stessa stronza.
A letto a sospirare stateci voi, io ho da fare. E soprattutto non sono Keats.

Confini

Mentre la mia città rischia l’inondazione, io riacquisto una connessione internet.
Le novità dell’anno nuovo sono state la fine della chemio, la casina nuova che prende forma, e un lutto, visto che evidentemente stavamo conservando troppo ottimismo.

Da martedì dovrò fare gli esami strumentali per vedere quanto ancora si sia ridotto il cancro e poi lunedì prossimo la visita dal chirurgo, per decidere cosa, come, quando e quanto togliere del mio corpo.
La notte fatico ancora un po’ a dormire. Il pensiero vaga dall’anestesia alla mutilazione, alla ricostruzione, alla cura ormonale, alla vita col pensiero di essere stata “toccata” una volta, e quindi alla sensazione di essere in qualche modo più vulnerabile di altri.

La verità è che non c’è entusiasmo, in me. La forza che si vede da fuori credo ormai sia solo composta di rabbia e caparbietà, e stizza e veleno e paura cieca. Ugualmente, vado avanti, guado questo Rio Delle Amazzoni di panico gelido e speranze sabbiose, sapendo che il confine vero non è fra la chemio e l’intervento.
Non sono mica guarita.
Il confine è fra prima e dopo questi mesi. E’ fra come credevo di essere e come mi sono scoperta e conosciuta, e come diventerò dopo.

E’ la linea fra la riva solida che conoscevo e le acque scure che mi corrono davanti.

Brutta umanità

Cincischiando, approdo per caso sulla pagina facebook di Repubblica, dove si parla del calendario del dipartimento Qualità della vita dell’Istituto dei tumori di Napoli “Pascale”, dove appaiono donne che hanno fatto (o stanno facendo, o faranno) la chemioterapia.

Il link all’articolo è qui, e sotto potete leggere i commenti dell’utenza.
La prima botta di genialità arriva da una donna che dice di aver superato anche lei la malattia, e dice:

“che bisogno c’è?? Hai necessita’ di pieta’, di far vedere, che nonostante la Chemio , sei sempre bella?? Non mi piace, facessero altro piu’ istruttivo, aiutare le altre donne, piu’ deboli a sopportare, lo strazio della Chemio, io sicuramente, sbaglio, ma ci sono passata e ste’ Pupazzate proprio non ne vedo il riscontro – aiuta diversamente, vuoi solo metterti in mostra o.k. accettato – ma lascia stare la malate di CANCRO!!! Per rispetto a chi veramente subisce, e sta cosi’ male che mai potrebbe avere la forza di sdraiarsi!!!! Caz… ma per favore…divertitevi diversamente!!! coconis…”

...

Un altro GENIO ignora totalmente il rapporto devastato che si crea col proprio corpo, durante la malattia, e ritiene indispensabile arricchirci con la sua opinione:

“condivido il pensiero della signora daniela. ogni secondo le dopnne criticano le veline, i calendari, le olgettine….e quando capita l occasione che fanno??? le veline nei calendari. bella coerenza. la voglia di vivere la possono dimostrare anche piantando rose all aria aperta. no,hanno la smania del trucco parrucco luci fotoshop, pensano sempre all estetica salvo poi incazzarsi se le consideri solo x l estetica.”

...

Poi abbiamo l’illuminata che ci spiega come alle spalle di tutto ci sia BIG PHARMA.

“questa propaganda non mi meraviglierei se si scoprisse che ha alle spalle le multinazionali farmaceutiche. la chemio è morte e chi la vive o la vede vivere ai propri cari, vedendoli consumarsi giorno dopo giorno come cavie da laboratorio,davanti a questo calendario puo solo incazzarsi..fermo restando che queste donne sicuramente sono un simbolo di grande forza e chiunque affronti questo calvario lo è.pero invece di diffondere questi messaggi subliminali, vi siete mai chiesti perchè non iniziano anche a parlare seriamente di un modo di vivere e di mangiare piu sano? nessuno ci dice che il cancro deriva da quello che mangiamo, ma ci insegnano che la chemio è la cura e che i malati di cancro sono i nostri eroi!”

...

Non curatevi! La chemio è morte! Ma vaffanculo.

Questi sono solo tre esempi. Il mondo è pieno di gente così. Di gente che ha la risposta, di gente che la sa lunga, di gente che deve insultare per sentirsi migliore. Di gente che, tra le altre cose, ignora le più basilari regole della grammatica. Ma ha una connessione internet e si sente in dovere di informarci delle loro puttanate.

Come dicevo in quest’altro post, io non auguro il cancro a nessuno.
Ma di sicuro vorrei far sentire qualcuno fra questi geni esattamente come mi sento io adesso, dopo aver letto quella roba.

Guardarsi dentro (ma anche no)

Una cosa che non faccio da mesi è scrivere.
A parte il blog, intendo, che è una cosa pensata e scritta per un pubblico (che non c’è, ma facciamo finta).
Non scrivo né prosa né poesia, non ci provo nemmeno.
La psicoterapeuta vuole che io scriva. I miei sogni, i miei pensieri. Sono molto riluttante.

Perché quando scrivo per me non sono mai solo io a scrivere.
C’è un angolino piccolo e segreto e nascosto che mi muove la penna, che ha voglia di parlare.

E adesso quest’angolino ha paura, ed è solo, vuole piangere e vuole la mamma.
Allora facciamo che non scrivo, e lo teniamo chiuso dentro.

Al sicuro.

L’amaro in bocca (letteralmente) – Post Utile

Okay, ora che ho fatto anche il secondo Taxotere posso essere più lucida e consapevole.

Intanto, sì: continua a essere molto fastidiosa, più della Rossa.
PERO’
ci sono degli accorgimenti da seguire per uscirne indenne.

  • SE DOPO TRE GIORNI AVETE UN’ESPLOSIONE DI DOLORI ARTICOLARI INGESTIBILI. Provate a prolungare il prednisone (mezza pasticca) per altre due mattine. Un’altra storia.
  • SE IL PREDNISONE NON BASTA. Dio il terzo giorno ha inventato la tachipirina, se no col cazzo che reggeva una settimana. Prendetela. E ve lo dice una che ha il rifiuto dei farmaci, ma dovendo scegliere…
  • SE VI FA MALE IL FEGATO. Intanto si suppone che beviate tanto. Tanto tipo 3 litri d’acqua al giorno. Se non bastasse, fate in salto in erboristeria e comprate il CARDO MARIANO. In fialette. Sa di morte e decomposizione, ma funziona da paura. Sulla confezione c’è scritto di diluirlo nel succo di frutta, se il sapore è troppo forte, ma ve lo dico: il succo di frutta non basta. Sa di morte uguale. Morte e albicocca.
  • SE NON VOLETE AMMALARVI. Visto che i globuli bianchi inizieranno a fare come i lemmings e a buttarsi dalla scogliera del vostro sistema immunitario, la mattina io col caffellatte prenderei un bel bicchierone d’acqua con dentro a sciogliere il RESVIS XR. E’ un integratore. Funziona e sa di arancia.

    Globulo bianco. Notate il desiderio di suicidio nell'occhietto senza vita.

    Globulo bianco. Notate il desiderio di suicidio nell’occhietto senza vita.

  • SE VI E’ VENUTA LA DIARREA. So che direte di no perché non è proprio l’argomento principe delle vostre serate al Golf Club, ma vi è venuta, lo so. Prima che vi venga di nuovo, bombatevi di FLORTEC, 10 bustine di fermenti al gusto frutti di bosco (o meglio, RUTTI di bosco, perché si ripropongono per giorni).
  • SE NON VOLETE I FORMICOLII. Eh, se. Certo che non li volete. Io non li ho. E sapete perché? Perché mi bombo di vitamina E. SURSUM, capsule molli. Si manda giù bevendo il Resvis.
  • SE NON VOLETE CHE OGNI CIBO SAPPIA DI BRUCIATO. So che qui ho la vostra attenzione. Il grande difetto del Taxotere, più della diarrea, più dei formicolii, più di qualsiasi altra cosa, è che per due settimane il cibo sa di cartone bruciato e poi ammollato d’acqua. Per una settimana è normale e poi TAC! altro giro di chemio. Per evitare che questo succeda c’è un modo.
    Il cibo sa di bruciato perché l’epitelio della bocca è bruciato. La bocca è in fiamme. La lingua è a pois. Sembra di avere un’ulcera allo stomaco, ma in faccia. Allora, la curiamo come fosse un’ulcera.
    Durante la Rossa ho avuto tanti dolori allo stomaco e, fra i vari gastroprotettori, mi hanno dato il RIOPAN. Lo vendono in gel, in bustine monodose da 80 mg. Se, invece di inghiottirlo come si fa normalmente, lo teniamo in bocca dieci minuti due volte al giorno, dopo due giorni il cibo tornerà a sapere di cibo.
    Non scherzo, con me ha funzionato benissimo.
    E sa di fragola.